HOMEPAGE

VINIA  TANCHIS:  Hanno scritto

 

Poesia che nasce dal dolore esistenziale
di Antonio Corrias - 1990

 [Di seguito: Presentazione di "Luoghi dello spirito" nel 2007]

 

Il motivo lirico che emerge con maggiore forza è quello della solitudine dell’uomo moderno, disorientato e incompreso fra tanta gente indifferente.  Però alcuni componimenti lasciano chiaramente intendere che esistono nella vita di ognuno di noi momenti di conforto e di speranza.  I momenti di gioia e di speranza sono però nei versi della Tanchis rari e fuggevoli, su questi prevalgono i momenti e gli stati d’animo cupi, fino a farla invocare e gridare che il tempo si fermi, perché si ha “paura di vivere”.

Di qui la necessità per l’uomo di riscoprire il passato, il mondo della fanciullezza, per trovare in esso la propria identità.  La riscoperta del passato però è deludente perché, guardato con gli occhi dell’uomo adulto, esso non ha più l’odore e il sapore gustati dal fanciullo.

La protagonista della lirica “Come sassi sottacqua” ha ricercato i suoi giorni perduti andando a ritroso sulla strada del tempo, ma della vita della ragazza di prima sono rimasti solamente “i sogni evanescenti come sassi sottacqua".  E’, questa lirica, una delle più significative, perché racchiude una verità umana e esistenziale poeticamente trasfigurata.

Tutti i componimenti nascono dall’angoscia esistenziale e dalla consapevolezza del male del vivere.  Tranne i pochi momenti di apertura alla gioia della vita, la poesia della Tanchis nasce dal dolore esistenziale.

 

Oristano, Maggio 1990

 

Presentazione del libro di poesie

Luoghi dell’anima” di Vinia Tanchis

Comune di Oristano Sala Giudicale - Palazzo degli Scolopi

10 Novembre 2006 -

Relatore: Prof. Antonio Corrias

 

Il titolo della raccolta riprende il titolo della seconda lirica della medesima, la quale esprime un motivo lirico che diventerà uno dei temi principali del libro: il contrasto tra città e natura. La fuga dalla città verso il mondo della natura permette alla scrittrice di sentirsi libera e interiormente ricca.

Lo stesso motivo viene ripreso nella lirica “Me ne vado” ( pag.58 ), nella quale alla natura non viene contrapposta, come nella 2a lirica la nebbia della città, ma il pulsare inquieto dei pensieri alla ricerca di una risposta alla domanda  che cos’è la vita ? I pensieri, però, restano sempre uguali, non riescono ad aprirsi un varco che porti a una risposta, perché la “logica ubriaca / vacilla e balugina / come una fugace meteora”.  La risposta non è facile perché la domanda che la scrittrice si pone trascende i limiti della ragione e attinge la dimensione metafisica. La ragione non può dire se l’essere e il nulla sono la stessa cosa, perché si tratta di una grossa problematica filosofica, di un punto cruciale dell’Esistenzialismo.

Non trovando una risposta, la scrittrice si rifugia nel sogno, come accade nella lirica “La Fuga” ( pag.59 ). Il sogno, però, è di breve durata, e il risveglio riporta all’ineluttabile realtà, fatta di solitudine esistenziale: l’unica voce amica è l’abbaiare  di un cane spelato verso la luna. Questa condizione di solitudine esistenziale viene liricamente descritta nella poesia “Io sono”, nella quale viene messa in dubbio la certezza stessa dell’esistenza: “ Io sono… / Ma è vero / che sono ?

La scrittrice riduce se stessa a una voce sommessa che resta inascoltata, perché il clamore del mondo le impedisce di aprirsi un varco. Il motivo viene ripreso in “Crisi di coscienza” dove si dice che il grido della creatura umana che cerca “corrispondenza d’amorosi sensi” cade nel baratro.

Infatti gli uomini d’oggi sono “vuoti Narcisi” dediti alla contemplazione di se stessi e sordi al grido dei propri simili.  Nel mondo moderno, ossia nel mondo della tecnologia e dell’edonismo non esiste più fratellanza.  L’uomo non solo ha dimenticato il proprio simile, ma lo stesso Creatore. Vivere in questa dimensione alienante e alienata significa vegetare, e allora la scrittrice si rivolge a un interlocutore non identificato chiedendogli di fermare il tempo, perché “io … ho paura di vivere ”.

Mi pare, a questo punto, di poter dire che la condizione esistenziale, fatta di solitudine e di alienazione, denunciata in tante liriche, non deve essere vista come realtà individuale che si esaurisce in se stessa, ma come metafora di una condizione umana che caratterizza l’uomo di oggi, costretto a vivere in un mondo che soffoca ogni slancio sentimentale. La scrittrice, perciò, invita a una autoanalisi che permetta di scoprire le disarmonie interiori.  L’introspezione della lirica che ha questo titolo, pertanto, non è da intendersi come esclusiva autoanalisi personale, perché essa può essere l’autoanalisi di ciascuno di noi.  Analizzando se stessa la scrittrice implicitamente invita ciascuno di noi a fare un esame di coscienza.  Dal contesto di tutta l’opera, però, non risulta che l’uomo faccia esami di coscienza e si apra al prossimo, e di conseguenza l’autoanalisi della scrittrice si configura come un caso isolato.  L’unica soluzione potrebbe essere, allora, la fuga nel passato, ma questa soluzione risulta velleitaria, perché il passato ritrovato è diverso da quello vissuto:

A lungo ho ricercato

i miei giorni perduti,

sono andata a ritroso

sulla strada del tempo

ma ho trovato luoghi diversi

con lo stesso nome

e tutto, tutto

non ha più lo stesso odore

e della mia vita di ragazza

solo sono rimasti i sogni

evanescenti,

come

sassi sottacqua.

 

Nella lirica “Anima deserta”, del passato resta solo l’orto abbandonato, solitario e muto, perchè chi dava senso e vita a quella dimensione non esiste più.

Il tempo passato non è quindi un’evasione positiva, non risolve, la fuga in questa dimensione, i problemi dell’uomo, il quale è costretto a ritornare nel presente, dove, però, non hanno più senso neppure le parole, che sono “inutile strumento, mera illusione d’esser capiti: un mondo fatto di parole vane”.

Dopo aver tentato le vie umane, per uscire dalla desolazione del presente, e dopo averle scoperte pure illusioni, la scrittrice si rifugia in Dio o, meglio, esprime la sua ansia del divino.  Nella lirica “Preghiera” chiede al Signore il dono di una voce alta e profonda, una voce persuasiva che possa infrangere quelle barriere che la parola umana non può superare senza il soccorso divino.

La scrittrice vuole superare la solitudine istituendo un rapporto di fratellanza con i propri simili, quel rapporto che può essere realizzato solo con un intervento miracolistico, tramite, cioè, l’amore infuso da Dio nel cuore della creatura umana per mezzo della parola di chi l’invoca.

Nella lirica “La palma” l’ansia del divino diventa desiderio di conquistare uno spazio infinito dove la scrittrice può elevarsi “più vicino a Dio” e trovare la purezza, come la palma che vola sempre più in alto dove l’aria è più tersa.

 

Concludendo il mio discorso e sintetizzando in un giudizio globale il significato del libro, posso dire che la Tanchis ha fatto delle liriche che lo compongono un mezzo per esprimere la sua visione del mondo e la sua realtà interiore, però, esprimendo, attraverso la condizione sua particolare, la condizione universale, e quando uno scrittore riesce attraverso il particolare a rappresentare l’universale, merita il nome di poeta.

 

Oristano, 11-01- 2006

 

Prof. Antonio Corrias

Scrittore e Docente di Italiano

 al Liceo Classico

Statale di Oristano

 

HOMEPAGE

VINIA  TANCHIS:  Hanno scritto